mercoledì 28 maggio 2008

India 2008 - Il libro

Sessantasei immagini scelte fra centinaia, elaborate una per una in camera chiara, impaginate e stampate come e-book. Sebbene tutto è velocemente elettronico, ci vuole comunque tempo per assaporarle e criticarle. Se avete cinque minuti (lo so, sono tanti!), vi consiglio di attivare la funzione a pieno schermo (premendo il tasto [F11]) e guardare. Spero che le immagini scelte possano trasportarvi ad oriente. Buon viaggio.



Per accedere alla gallery clicca l'immagine

Si inizia da New Delhi. L'arrivo in India è inaspettatamente “ostile”. Non perché è cambiato qualcosa dall'ultimo viaggio. I ricordi addolciscono gli spigoli di una realtà che invece aggredisce tutti gli organi di senso: la percezione fisica di sporcizia, il rumore che t'insegue, gli odori, la visione dell'indigenza, l'umidità “appicicaticcia”, la necessità di lavarsi (almeno le mani) e di andare a letto vestito, l'attenzione a dove si mettono i piedi, il rischio continuo di essere investiti dal turbinio di mezzi in movimento.
Poi ci si abitua, i ricordi prendono forza dalla vita reale e ricominciano ad accumularsi.

Kolkata è particolare. Sei preparato ad incontrare solo poveri e invece le insegne al neon che inneggiano a stili di vita tipicamente occidentali (il condominio con giardino e piscina), il traffico caotico di migliaia di taxi gialli, autobus carretta, biciclette, scoppiettanti tuk-tuk, motorini e “qualsiasi-mezzo-capace-di-moto” ti assalgono, ti inglobano, ti stordiscono.
Ma dove sono i rickshaw, gli uomini cavallo? Li trovi solo in centro, ultima sacca di resistenza dopo la loro messa al bando.

Ci sono voluti un paio di giorni per ambientarsi, per creare le barriere protettive necessarie per una dignitosa resistenza e per poter godere della gioia della città.
La guida che ci ha accompagnato per un giorno ha capito quasi subito che non eravamo turisti formato standard. Dopo averci punito con una visita completa di un'ora (eterna) al museo della città, ci ha portato a vedere il quartiere dove si fabbricano, con canne e fango, le statue di Saraswati, dea delle arti, della sapienza, della musica, protettrice degli studenti. Grazie a questa felice intuizione, è stato possibile assistere e, alla fine, anche in qualche modo partecipare alla festa che impegna tutta la città per giorni fino al momento di affidare le statue alle acque del fiume Hooghly.

E poi via, ci si può lanciare nella città: il mercato dei fiori, Park Street, - la via di lusso dove per pochi euro da Flurys ci si sente straricchi mentre si gusta il croissant con una tazza di te darjeeling, Mirza Ghalib Street,- il Maidan Park e i giocatori di cricket, il tempio della dea Kali con il sacerdote furbone che ti spenna, ...

Kolkata sembra una città che ha fretta di staccarsi dal suo stereotipo internazionale. Una fretta tutta indiana: vera e propria frenesia che rischia di calpestare tutti quelli che non possono e non riescono a correre.

I poveri ci sono. Appaiono tutt'intorno alla città, dall'altra parte dell'Howrah bridge, alla stazione.
La visita alla comunità dei lebbrosi di Titagarh, a nord di Kolkata, ha lasciato un senso di stretta, davanti, al petto, che ti prende (per sempre) quando capisci, vergognandoti fino alle lacrime della tua superficialità, che non si guarisce mai dalla lebbra perché ti rimangono le mutilazioni e soprattutto perché nessuno ti vuole vicino. Il lebbroso non ha neppure diritto ad essere bruciato sulla pira. Sull'altro piatto della bilancia, i sorrisi dei bambini della classe unica del lebbrosario ti ristorano dimostrando che cosa è il frutto della speranza e del servizio. Sono sani, non sono "segnati" e si preparano ad uscire nel mondo, liberi di giocarsi la propria esistenza.

Raccolti nelle periferie, i “derelitti fra i poveri” arrivano in centro, a Kalighat, trasportati con un camion. Chiedono comprensione per la loro sofferenza, pretendono la dignità di morire come esseri umani. Vogliono davvero poco: essere puliti, aver da mangiare e bere, sfogare la loro rabbia e il loro dolore con qualcuno che li ascolti, sentirsi curati, coccolati per pochi minuti. In cambio regalano pace e serenità duratura, che ti segna. Ecco Nirmal Hriday, la Casa del Moribondo, dove si può toccare il senso della vita.

Ecco la Città della Gioia.

Nessun commento: