E poi oggi ho avuto la mia (involontaria) esperienza da “infiltrato”. Località: Tregasio, frazione di Triuggio. Brianza allo stato puro, riserva doc. Prima di affrontare la lunga discesa in bicicletta verso Canonica decido di fermarmi ad un bar per bere un bicchiere d'acqua. Entro con i capelli arruffati, la barba e la camicia indiana, comprata a Calcutta. Vengo ostacolato da un'occhiata tagliente di un trentenne, che si rivelerà essere il gestore. Un'occhiata di quelle date con la testa mezza girata all'indietro e con le palpebre semichiuse. Una rinfrescante spruzzata di diffidenza. Avanzo per inerzia verso il banco e comincio a selezionare le monetine. “Che cosa vuoi'” sibila il trentenne, passato al suo posto di comando dietro il bancone. “Un bicchiere d'acqua minerale”, rispondo cercando la mia migliore pronuncia italiana e rammaricandomi di non poter sfoggiare una sequenza di “é” aperte per testimoniare la mia italianità nordica. Bevo rapidamente e con ampi passi esco.
Si sorride, ma non troppo.
sabato 7 giugno 2008
"Infiltrato"
In questi giorni in cui è caldo il tema del “reato di clandestinità”, ho appena terminato di leggere “Bilal. Viaggiare, lavorare, morire da clandestini” di Fabrizio Gatti (BUR, €9,60). L'autore, famoso per le sue inchieste da “giornalista infiltrato” descrive con parole dure l'odissea di violenza e soprusi che accompagna il viaggio di speranza di gente che tenta di reagire alla miseria della propria terra d'origine. La scrittura di Gatti mi è parsa nervosa, introversa, racchiusa in se stessa e scarsamente orientata a coinvolgere emotivamente il lettore. Tuttavia, quando si arriva alla cronaca di ciò che è accaduto al CPT di Lampedusa non si può evitare di sentirsi chiamati in causa come cittadini italiani. E rimane un senso di amaro che sarà bene ricordare ogni volta che ti viene da pensare. “E basta con questi extracomunitari!”
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