martedì 26 ottobre 2010

L’albero dei mille anni

In dialetto keniota è il baobab ed è il titolo dell’ultima opera di Pietro Calabrese, storico direttore di testate giornalistiche importanti. Ho cominciato a leggerlo sul Magazine (oggi “Sette”) del Corriere della Sera. Teneva una rubrica intitolata Moleskine, collocata un po’ in fondo, a debita distanza dalle sciocchezze che da tempo aprono quotidiani e riviste. E io che incomincio a sfogliare i titoli dall’ultima pagina mi fermavo volentieri a leggere. Alla fine di maggio dell’anno scorso, leggo la storia di Gino, un uomo normale finché ad una visita di controllo gli scoprono un addensamento polmonare e inizia per lui, che non ha mai fumato, il calvario del cancro. Il libro è stato abbondantemente pubblicizzato per cui non andrò oltre. Questa introduzione mi serviva solo per spiegare perché ho letto il libro, uscito alla fine di settembre, pochi giorni dopo la scomparsa dell’autore.

E’ un bel libro. Con una scrittura veloce, a scatti, da quotidiano Gino redige il manuale “Che cosa aspettarsi da un cancro”. Il cambiamento di stato, la drammaticità di rispondere alla domanda “Perché proprio a me?” e farsene una ragione, lo sforzo di uscire allo scoperto (altro che outing per conquistare gli elettori o una copertina!) la depressione di conoscere in anticipo la causa dimageella propria morte. Come scriveva Terzani, tutti sappiamo che prima o poi dobbiamo morire, ma un cancro fissa una data. La cronaca della diagnosi e delle speranze. La chemioterapia e la radioterapia: ormai siamo così condizionati dal sorriso dell’Oncologo (quello con la “O” che racconta le favole sui prodigi della medicina, in particolare se in regime privatistico nel suo ospedale) che si rimane come sorpresi ("Ma come è davvero così?") quando Gino racconta le notti passate a vomitare o a resistere alla diarrea, che si copre di piaghe, non riesce a deglutire e comunque ogni cibo ha il sapore del petrolio, un passo gli costa una fatica immensa e la tosse non smette mai. Gino si ribella ai medici che gli dicono “E’ normale”. Normale un corno! E tutto questo per che cosa? Oggi si sviluppano farmaci innovativi che “promettono” alla metà degli ammalati un aumento della sopravvivenza di qualche settimana. E il Servizio sanitario spende risorse enormi.

Gino è un po’ tutti noi. Pietro è diverso. Conosce tutti i potenti. Forse le parti meno piacevoli sono gli elenchi delle persone illustri. Un atto pubblico di riconoscenza postuma che si perdona subito. Ma nonostante tutto, sebbene abbia accesso al meglio della sanità italiana (niente liste di attesa), Pietro non sfugge al destino di Gino. Entrambi ci avvisano di godere della vita finché possiamo farlo, attingendo alle cose semplici: una brezza di primavera e il vento gelido che anticipa la neve, una carezza e un bacio, un tramonto e un’alba, …, ciò che ci piace. E’ meglio evitare di correre dietro a potere, danaro, successo perché non cambiano l’esito.
E quando è arrivato il momento di uscire di scena, bisogna tirare fuori tutta la dignità, da gridare con forza per avvisare quelli che rimangono. Perché quando si muore si è soli.

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