Immagino qualcuno sia curioso di sapere dopo il mio post di lunedì scorso. Ho aspettato a rispondere in modo da poter fare un po’ di conoscenza. Visto che, giustamente, non è concesso fare fotografie, tento di dare un’idea anche senza l’ausilio delle immagini.
Ebbene martedì ho passato la mattinata a catalogare farmaci, scartando quelli scaduti. Un lavoro necessario, che richiede pazienza e umiltà. Per questo molto gradito per sedare ogni velleità autocelebrativa. Ammetto che sulla base delle esperienze precedenti non ho avuto nessuna obiezione da reprimere: e questo mi è sembrata una buona cosa.
Mercoledì sono arrivati circa 150-170 pazienti: gente che vive nei dintorni e chiede di essere vista e, soprattutto, di ottenere le medicine, che non possono permettersi, necessarie per continuare la terapia. Magari c’è anche qualcuno che cerca farmaci da rivendere: ma non contano. Il capannone di Shishu Bavan è ordinatamente suddiviso in quattro aree: bambini; adulti maschi e femmine, e medicazioni. Le Sister regolano il traffico in modo da dare un certo ordine, nonostante l’inevitabile accalcarsi della gente e i soliti furbini che tentano di passare avanti.
Il dialogo è tutto un programma: il paziente spiega in bengoli i suoi problemi alla Sister, che traduce in inglese per il medico. Per essere sicuro ho preso l’abitudine di ripetere ciò che ho compreso alla Sister. Talvolta è necessario fare anche un paio di “giri” prima di arrivare alla definizione dei problemi. C’è poi a disposizione una saletta per una visita più approfondita quando necessario. Il tutto dalle 8.30 alle 12.30-13.00.
Questa mattina era invece dedicata ai diabetici e domani ci verranno accolti i pazienti neurologici. Insomma, una bella organizzazione. L’ambiente é bello e sister Andrea, che è medico, guida tutti con pazienza, serenità e fermezza. E come dimenticare le infermiere: vengono da Argentina, Spagna, Canada e Lissone, indispensabili api operaie alla ricerca della medicina giusta, pronte a segnalare i casi che richiedono attenzione speciale.
Tutto perfetto? Mi sento di dire che la perfezione non è davvero di questo mondo e che fare al meglio qualcosa per rispondere a necessità che la società vuole ignorare (“niente soldi? niente medicine”) è una goccia d’acqua nell’oceano, per chiudere citando Madre Teresa.
Una esperienza coinvolgente da vivere secondo la raccomandazione: “tutto quel che fai fallo mettendoci il cuore, fallo per il Signore e non per gli uomini”. L’importante è servire ognuno e dedicare attenzione a tutti, soprattutto quando la stanchezza e la confusione malignamente suggeriscono di sveltire. A tener conto della produttività ci pensa già l’infaticabile sister Margaret, addetta al coordinamento e ai tempi-e-metodi.
Nessun commento:
Posta un commento