Grazie al fuso orario non è stato difficile alzarsi presto e partecipare alla S. Messa delle 6.00 a Mother House (puntuali! sempre meglio arrivare con 10 minuti di anticipo). La piccola cappella era colma e, questa volta, mi è sembrato che i volontari superassero in numero le Sister e le novizie. Anche grazie alla compatta partecipazione di una trentina di australiani, che sono entrati in fila per due tutti con la loro polo bianca e logo “India 2010”. Cronaca a parte, mi ha fatto piacere apprezzare la presenza di tanti giovani, in maggioranza ventenni, che hanno riempito tutta l’ala destra riservata ai volontari relegando i vecchietti sulle panchine a fil di muro. Un segno chiaro che la speranza continua nel suo cammino.
Dopo colazione (niente di nuovo sotto lo smog: the, pane tostato e marmellata, uovo sodo e banana) una bella gita sul 45/B fino a Kalighat. [Nota meteorologica: è davvero tanda tanda (freddo freddo)]
È stata vera come ieri la sensazione di una continuità, che può trovare ragione in due considerazioni: la sofferenza si declina sempre nel presente e, conseguentemente, il bisogno di sollievo è inesauribile. Secondo, è improprio cadere nella “nostalgia del volontario” perché in ogni momento c’è sempre posto per chi, qui o altrove, liberamente offre il poco, il niente che può dare.
Pomeriggio dedicato alla registrazione. Eravamo davvero tanti, almeno una cinquantina di cui quattro italiani. Sister Margaret non ha battuto ciglio quando ho indicato Kalighat come destinazione. Certo, è destino!
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