martedì 16 febbraio 2010

In pace

Ieri avevo tentato inutilmente di dargli da mangiare. Al sesto cucchiaio di riso mi aveva allontanato la mano con un gesto deciso, perentorio. Un “Basta” senza appello. Lo avevo lasciato mentre, svogliato, tentava di mandare giù un po’ di latte con il riso soffiato. Questa mattina è entrato in coma. Il sacerdote gli ha dato la benedizione attingendo l’acqua da uno dei bicchieri di metallo che i pazienti usano per bere. Abbiamo accompagnato la sua agonia pregando per lui in lingue diverse ma con una concentrazione profonda, riscaldandogli le mani con le nostre come per opporci all’avanzare del freddo, per mostrargli che uno dei più poveri fra i poveri non era più solo e che il Signore lo stava accogliendo nella gioia pura alla sua presenza e nella pace senza fine alla sua destra. Quando ho lasciato Kalighat ero sereno, in pace.

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